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31 Luglio 1954: il tricolore sul K2

di Marco Innocenti

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30 luglio 2009
Achille Compagnoni sul K2 nel 1954 (Olycom)

Alle 18 locali del 31 luglio 1954 la bandiera italiana è piantata sul K2, 8.611 metri, una montagna più bella e più difficile dell'Everest, 40 gradi sotto zero, a un soffio dalla morte bianca. Per l'Italia è una grande rivincita, il primo trionfo mondiale di un paese povero, che dieci anni dopo la sconfitta, cerca il riscatto nelle vittorie dello sport, nella fatica dei pedali e dei ramponi. Il piccolo paese uscito a pezzi dalla guerra, l'Italia degli sciuscià, dei pizzaioli, delle canzonette, delle Topolino, l'Italietta del pallone bistrattata ai mondiali, conquista la seconda vetta del mondo, bruciando gli americani nella corsa agli ottomila sul Karacorum. "Per quel tricolore legato al manico di una piccozza sulla più alta vetta del mondo inviolata - scrive La Stampa - noi italiani siamo fieri e lo portiamo come un fiore all'occhiello".

I protagonisti
Ricordiamo i nomi di alcuni degli uomini che hanno attaccato la gigantesca piramide di roccia e di ghiaccio dell'Himalaya: Ardito Desio, l'ostinato capo della spedizione, Achille Compagnoni (morto il 13 maggio scorso a 94 anni) e Lino Lacedelli, i due che arrivano in cima e si abbracciano commossi mentre l'ultimo sole squarcia le nubi all'orizzonte, e poi Walter Bonatti, Ubaldo Rey, Sergio Viotto, Gino Soldà, Erich Abram, Pino Gallotti e Mario Puchoz, il più sfortunato, che paga con la vita l'avventura, stroncato da una polmonite e sepolto dai compagni in una tomba di ghiaccio. La vittoria è dedicata anche alla sua memoria. "La Domenica del Corriere" esalta in copertina l'impresa: i due alpinisti, la vetta espugnata, le piccozze, la bandiera, la frustata del vento furioso, la calotta di ghiaccio e l'azzurro del cielo.

Le polemiche
Ardito Desio, morto più che centenario, non l'ha mai voluto ammettere ma la straordinaria impresa del K2 ha avuto un brutto rovescio della medaglia, diventando un "caso", in cui si sono mescolate confusione, false verità, invidie, reticenze, ragione di stato e ipocrisie. Walter Bonatti, che ha rischiato di restare per sempre nella zona della morte, sopra gli ottomila, ha espresso la sua verità, sempre negata da Compagnoni, riconosciuta in parte da Lacedelli (tardivamente) e puntualizzata nel 2008 dalla Commissione d'inchiesta del Club alpino italiano. La denuncia di Bonatti è pesante. Il senso è che Compagnoni e Lacedelli avrebbero montato il campo nove (l'ultimo) in un punto più alto di quello concordato, usando il giovane scalatore per portare le bombole d'ossigeno in quota e costringendolo, assieme all'hunza Mahdi, a un bivacco della disperazione a quota 8100 metri, in una notte terrificante, senza riparo, a strapiombo fra gelo, neve e bufera. Non solo, ma nelle ripicche della polemica entrarono anche i due conquistatori della vetta, accusando Bonatti di avere "succhiato" parte dell'ossigeno, costringendoli a fare gli ultimi duecento metri di scalata con le bombole esaurite.

La "verità"
La verità se l'è portata Compagnoni nella tomba, e Lacedelli, tuttora vivente, ha ammesso: "Credo che lui non volesse che Bonatti venisse su". La Commissione d'inchiesta ha riconosciuto che Bonatti non aveva sottratto ossigeno (cosa dimostrata nel '94 da immagini inedite in Italia, con Compagnoni in vetta che ancora respira dalla maschera collegata alla bombola e Lacedelli che si è appena tolto la maschera e ha delle goccioline di condensa intorno alla barba). Non si è pronunciata, invece, sulla volontarietà dello spostamento del campo nove, che potrebbe anche essere stato causato da un'incomprensione. Il Cai ha cercato quindi di accontentare tutti, ma la versione di Bonatti è la più credibile.

L'assenza
Lacedelli (83 anni) non si è recato a metà maggio al funerale di Compagnoni. "Sono vecchio - si è giustificato - Anch'io ho problemi di salute". E così sia. La favola del K2 è rimasta appesa, quel giorno, a quel picco lontano.

30 luglio 2009
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